Cuccuasci, cazzi larghi
Gli abitanti di Galatina hanno due soprannomi: “cuccuásci”, nel senso di gente credulona, e “carzi larghi”, ossia gente menavanto e spaccona. Il primo nomignolo ha un’origine del tutto fantasiosa. Si racconta che dopo la mietitura del grano, un contadino galatinese, felice per la buona riuscita del raccolto, se ne stava a rimirare i covoni ammonticchiati nell’aia, quando all’improvviso un’importuna civetta (“cuccuáscia”) cominciò a fare il suo verso: “Cuccuíu, cuccuíu”. Il poveraccio, colto alla sprovvista, pensò che la strana voce gli dicesse: “Tutto è mio, tutto è mio” e perciò, sbalordito e impaurito, cominciò a discutere sul possesso del raccolto. Poichè la civetta insisteva, il contadino cercò di venire a patti, chiedendo che gli si lasciasse almeno la metà del raccolto. “Cuccuíu”, continuava a ripetere sempre l’uccello e il contadino a capire sempre “tutto è mio”, finchè, infuriato e disperato gridò: “Se è cosi, niente a nessuno” e appiccò il fuoco ai covoni distruggendo l’intero raccolto.
L’aneddoto è il frutto delle solite malelingue naturalmente, salvo il riferimento alla civetta che è il simbolo di Galatina, essendo raffigurata nello stemma civico insieme alle chiavi pontificie e alla corona. Alcuni collegano la civetta, simbolo della dea Minerva, con l’origine della cittadina che secondo una tradizione fu fondata da una colonia di ateniesi. Da qui l’emblema con la civetta che ritroviamo anche nello stemma di Atene. L’altro soprannome “carzi larghi” non indica, come una errata convinzione popolare ha sempre creduto, la foggia dei pantaloni dei Galatinesi tendente ad essere larga, quanto il continuo allargarsi delle guance (“carzi”) a causa del caratteristico modo di parlare. Ma la solita maldicenza dei vicini ha attribuito al termine <<carzi larghi” il significato offensivo di raccontare frottole e menare vanto, una filastrocca cosi descrive gli abitanti: “Quantu su béddhri li Galatinísi/ca ti ápruni la porta e dinne: trási!/Prima ti spíanu ci porti turnisi/e poi ti mandami. va ffaci lu astási” (Quanto sono furbi i Galatinesi prima ti aprono la porta e ti fanno entrare. Vedono se hai denaro e poi ti mandano a fare il facchino).
Alcuni soprannomi individuali
Cacafáve (caca fave), Cacaóve (caca uova), Capiviancu (testa bianca), Carcavécchia (monta la vecchia), Cazzasajette (scaccia disgrazie), Ccidiporci (ammazza maiali), Cecarúculli (acceca cavallette), Chiarapica (dal pene bianco), Ciola (gazza, o anche pene), Coppuláru (berrettaio), Cornuláru (da <<cornula>>, carruba), Culácchiu (fondo di recipiente o, anche, racconto fantastico), Mandráppa (trasandata nel vestire), Manlmúzza (mano mozza), Menzavéntre (mezza pancia), Minnella (tettina), mapaiaseggie (impaglia sedie), Mprenacannéddhre (capace di ingravidare i tarli), Nnettacúmone (pulitore di cessi), Pallanculu (palla, o palle in culo), Pappallollu (pane ed olio), Passarícchiu (uccelletto), Patútu (deperito), Plicadetávvula (pene di legno), Picaniura (pene nero), Picascelata (pene infreddolito), Picavécchia (pene vecchio), Pinnínni (onomatopeico), Pírata (scorreggia), Pisciachese (piscia chiese), Pisciacetroli (piscia cetrioli), Pizzicuddhri (pizzicotti), Pizzulafiche (becca fichi), Scaracapirete (scorreggione), Scliaricku (sciancato), Scorciacáni (spella cani), Spezzacatíne (spezza catene), Spingulatisa (spillo in piedi) Spinnátana (con pochi capelli), Spirilinchi (ragazzo alto è magro), Spurpanózzulu (spolpa nocciolo), Stoccasicári (spezza sigari), Sucamele (succhia mele), Tiravasciu (rasoterra), Tridicipili (tredici capelli), Tthremmazze (tre di bastoni), Unchia vissiche (gonfia vesciche), Vasapiedi (bacia piedi), Vattimamme (picchiava la mamma).